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Laboratorio Permanente di Ricerca Teatrale di Salbertrand

GRANDI MAESTRI PER UN PICCOLO GRANDE TEATRO

PROGETTO CONCLUSO

Periodo di realizzazione: 2004-2015

Descrizione

La piccola Salbertrand ha scommesso sull’arte eccelsa ed evoca i nomi dei giganti della storia del teatro da Peter Brook a Tadeuz Kantor, da Stanislavskij ad Antonin Artaud. Parrebbe essere utopia, ma a ben guardare la storia delle rivoluzioni che hanno rivitalizzato l’arte dell’attore ci accorgiamo che questa è passata fuori dai palcoscenici dei teatri all’italiana, per attingere alle esperienze più disparate e alla vita che scorre fuori dalla cosiddetta cultura “alta” che oggi si produce e si promuove solo attraverso il tubo catodico dell’elettrodomestico più odiato ma più utilizzato in ogni casa.

Così nel 2004 nasce a Salbertrand un laboratorio permanente di ricerca teatrale, tenuto dalla Associazione ArTeMuDa, che si propone di scavare nella cultura locale attraverso un approccio di tipo antropologico. Fanno parte del laboratorio persone provenienti dai diversi comuni dell’Alta Valle di Susa e da Torino. Il gruppo effettua ricerche di tipo etno-linguistico, con attenzione alla tradizione contadina della cultura occitana, e rielabora il materiale attraverso tecniche teatrali e di antropologia teatrale. I lavori del gruppo intendono far rivivere, attraverso suggestioni teatrali, un mondo che ha ancora molto da comunicare.

Il laboratorio si è svolto ogni domenica, nella palestra messa a disposizione dall’Amministrazione comunale, ed è stato diretto da Renato Sibille, ricercatore impegnato nella valorizzazione della cultura locale, laureato e dottorato in teatro al DAMS dell’Università di Torino e cultore di teatro di ricerca presso la stessa facoltà, con il supporto di Roberto Micali. Le tecniche mediante le quali gli ispiratori del laboratorio hanno condotto la ricerca trovano fondamento nell’antropologia teatrale. Si tratta di una disciplina che studia l’arte dell’attore e la sua presenza scenica nel suo aspetto di extraquotidianità. L’antropologia teatrale è stata ideata alla fine degli anni Settanta da Eugenio Barba, uno dei più grandi registi della scena internazionale.

Il laboratorio di Salbertrand ha condotto ricerche di tipo storico e antropologico sul lavoro contadino e sulla cultura occitana dell’Alta Valle di Susa, incontrando quelli che Renato Sibille definisce “gli altri nostri grandi maestri: gli abitanti del posto che custodiscono il sapere di una terra e i suoi gesti”.

Ė proprio sul gesto che si concentra essenzialmente la ricerca. Quel gesto del mondo contadino che perdendosi porta con sé le parole che non hanno più ragione di essere dette perché narrano, descrivono, chiamano quel gesto che produce un lavoro. Il lavoro duro della vita quotidiana ormai lasciata alle spalle, ma ancora presente nella carne e nella memoria di persone eccezionali in grado di trasmettere l’essenza di quella vita e di quel mondo. Un teatro occitano dunque? No, in realtà è un teatro che guarda al mondo occitano e alla sua identità e attraverso questo, compresa la sua lingua, il patouà, vuole comunicare in pari dignità con il mondo delle differenze e delle diversità, contro ogni globalizzazione.

La visione teatrale del gruppo nasce dal teatro povero del grande regista polacco Jerzy Grotowski, un teatro povero sì di mezzi ma, soprattutto, povero di elementi non indispensabili all’accadere teatrale che spesso appesantiscono la scena e portano lo spettatore a sonnecchiare, annoiato da parole e gesti buttati via, privi di vita e di un perché. Il teatro povero non può fare a meno di due sole cose: i corpi dell’attore e dello spettatore, tutto il resto non è essenziale alla scena.

Il Laboratorio Permanente di Ricerca Teatrale a Salbertrand ha raccolto e rielaborato frammenti di memoria, passi solitari lungo sentieri impervi, parole frantumate sulle pietraie ai margini dei campi non più coltivati, immagini racchiuse in piccole cose indimenticabili. Una parte fondamentale del lavoro è costituita dall’incontro con gli abitanti del posto, considerati alla stregua dei grandi maestri poiché custodi del sapere di una terra e dei suoi gesti. È proprio sul gesto che si concentra essenzialmente la ricerca; quel gesto del mondo contadino che perdendosi porta con sé le parole che non hanno più ragione di essere dette perché narrano, descrivono, chiamano quel gesto che produce un lavoro. Il lavoro duro della vita quotidiana ormai lasciata alle spalle, ma ancora presente nella carne e nella memoria di persone eccezionali in grado di trasmettere l’essenza di quella vita e di quel mondo.

Il laboratorio nel 2015 ha sospeso gli incontri.

Informazioni aggiuntive