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Choza da pa creir

CONVEGNO. PRESENZE FANTASTICHE NELLA CULTURA POPOLARE IN AREA OCCITANA

Sabato 30 ottobre 2010, Salbertrand (TO), Sala conferenze Parco del Gran Bosco di Salbertrand

Richiedi gli atti del convegno

Descrizione

PROGRAMMA DEL CONVEGNO

Ore 14.00 REGISTRAZIONE DEI PARTECIPANTI

Ore 14.30 BENVENUTO

  • Massimo Garavelli, Presidente del Parco naturale del Gran Bosco di Salbertrand
  • Piero Biolati, Sindaco di Salbertrand
  • Roberto Micali, Presidente dell’Associazione ArTeMuDa

INTERVENTI

  • Loredana Matonti – Le streghe tra magia e realtà: rituali di guarigione e credenze in Valle di Susa
  • Monica Pignatelli – Un sabba in alta Val di Susa: presupposti di un mito vissuto
  • Massimo Centini – L’Uomo Selvaggio: viaggio intorno a un mito della montagna

ORE 16.30 BREAK CON PRODOTTI DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

ORE 17.00 RIPRESA DEI LAVORI

  • Diego Priolo – Il lago alpino nell’immaginario popolare del territorio che lo ospita. Alcuni riscontri in alta Val Susa
  • Matteo Rivoira, Christian Abry – Sulle tracce di Pollicino nel ventre delle vacche. Dal Delfinato alle valli del Piemonte e dal microcosmo del pastorello al macrocosmo degli astri
  • Renato Sibille – Della fisica e d’altre visioni
  • ORE 18.30 CONSEGNA DEI RICONOSCIMENTI PATRIMOUANË DLA JAN ARTEMUDA 2010

ORE 19.00 CONCLUSIONE DEI LAVORI E DEGUSTAZIONE

Gli interventi saranno inframezzati dai racconti fantastici di Marisa Elleon

ORE 21.00 ARANHA, SPETTACOLO TEATRALE, Sala Polifunzionale, Salbertrand (TO), con il Laboratorio Permanente di Ricerca Teatrale di Salbertrand, regia di Renato Sibille

Informazioni aggiuntive

ABSTRACT DEGLI INTERVENTI

LE STREGHE TRA MAGIA E REALTÀ: CREDENZE E RITUALI DI GUARIGIONE IN VALLE DI SUSA

Loredana Matonti

Le radici della magia affondano nella natura dell’uomo e nella condizione Umana. Ma chi era la strega? La strega era innanzitutto donna (“La natura le fa streghe”) ma non una donna comune. Il confine tra la strega e la  guaritrice è sempre stato molto sottile e quest’ultima, specie se dedita a pratiche di guarigione rituali, è stata spesso demonizzata. D’altronde un tempo le cause delle malattie venivano ricercate in elementi esterni che l’ammalato tendeva a personificare, come la possessione, gli invasamenti,il malocchio e i sortilegi. Ritroviamo ancora nei manoscritti locali e nella memoria orali di alcuni intervistati le tracce di tali credenze, che prevedevano lo scongiuro della negatività o il propiziarsi la buona sorte con l’adozione di amuleti, erbe miracolose, parti di animali e altri elementi inusuali basati sul concetto del “simile magico”. Tra le  pratiche terapeutiche più curiose e interessanti documentate in Valle di Susa vi sono i rituali magico-religiosi di cura, dove con l’ausilio di gesti, segni e preghiere, tramandati oralmente di generazione in generazione, si curavano  svariate patologie, dai vermi al fuoco di Sant’Antonio ai nervi doloranti. Un mondo suggestivo e misterioso con diversi punti di contatto con analoghe pratiche in altre vallate alpine.

UN SABBA IN ALTA VALLE DI SUSA: PRESUPPOSTI DI UN MITO VISSUTO

Monica Pignatelli

Secondo  Mircea  Eliade il mito, come il racconto folclorico e la leggenda nelle cosidette società tradizionali, non è una fantasia astratta, ma al contrario una pura e semplice realtà, una storia vera. In questo senso ho  considerato la credenza che ho registrato nel 1986 in Alta Valle di Susa, riportatami da due anziani valligiani. Intesi,  infatti, nel mio studio  affermare il carattere di “esperienza realmente vissuta” della testimonianza; ciò che i miei interlocutori mi hanno comunicato è per loro reale e si lega ad emozioni profonde che danno un senso alla loro vita: ed è già questo un motivo per parlarne. Venni a conoscenza quasi per caso della credenza del ballo di Prasserins: un anziano amico di un paese dell’Alta Val di Susa un giorno mi raccontò della sua partecipazione ad un magnifico ballo la notte della vigilia di San Giovanni, la notte del solstizio d’estate. Solamente grazie alla mia familiarità con persone che erano il trait d’union tra la nuova e la vecchia società ho potuto raccogliere le testimonianze. I limiti oggettivi su questo terreno d’indagine erano le difficoltà riscontrate nel tentativo di una più approfondita conoscenza del gruppo sociale, legata anche dall’uso nella loro conversazione di un patois locale a me incomprensibile. Notevoli mi sembrarono subito alcuni elementi del racconto del mio testimone: la partecipazione in spiritu a questo incontro, il magico volo per raggiunger il luogo del ritrovo e i misteriosi personaggi con i quali gli adepti si intrattengono. Ma col tempo e la nostra frequentazione, i miei due testimoni arrivarono a non potermi più raccontare nulla. Sembravano, infatti, prendere coscienza della difficoltà di esprimere il loro sapere, e dei pericoli che comportava una pubblicizzazione eccessiva. Sicuramente la secolare condanna sociale di tale tipo di credenze ha portato a questo atteggiamento di difesa, di segretezza auto protettiva da parte di chi invece le condivide. Del resto, come dice M. Eliade, con la decadenza del sacro nella nostra cultura, in cui la realtà è quasi completamente secolarizzata, laica, il rapporto tra mito e realtà si è capovolto: agli occhi dei contemporanei è una fantasia priva di realtà, “una finzione, un’immaginazione”, nelle parole di A. Graf. Pur nella perdita di importanza, è, però, forse possibile rintracciare un’eco lontanissima della struttura e della funzione originaria del mito nelle forme che ha preso oggi, nelle sue estreme propaggini: nel racconto folclorico, nella favola, nella leggenda, che a ben vedere portano ancora racchiuso in loro una scheggia di sacro, in un mondo che ormai lo disconosce. 

L’UOMO SELVAGGIO

Massimo Centini

Nelle tradizioni alpine, l’Uomo Selvaggio è una sorta di essere primordiale: vive quasi sempre ai limiti della civiltà e i suoi atteggiamenti, rispetto all'”uomo civile”, sono caratterizzati da una notevole diffidenza. Strano incrocio tra un uomo e un animale, è il protagonista di tante leggende delle Alpi, da occidente ad oriente; occupa una posizione importante nei carnevali, dove spesso impersona l’inverno. Guardando all’interno della mitologia alpina, scopriamo che l’Uomo Selvaggio viene indicato come “eroe culturale”, cioè colui che ha insegnato qualcosa di fondamentale alla genti montane: arte casearia, agricoltura, attività mineraria, ecc. Poi, dopo aver trasferito quasi totalmente i propri segreti ai pastori e ai contadini, fugge nella montagna o nel bosco (perché vittima degli scherzi e dell’incomprensione dell’uomo civile) da cui non farà più ritorno. Contrassegnato da una serie di “motivi ricorrenti”, l’Uomo Selvaggio presenta comunque peculiarità e localismi che danno forma a un’articolata struttura mitica di grande interesse scientifico, ma non priva di fascino. Massimo Centini si occupa di questo mito da ormai tre decenni e all’argomento ha dedicato alcune ricerche sul campo, tre libri, numerosi articoli, relazioni e un film, “La montagna incantata”, realizzato da Rai2, con la regia di Giovanni Minoli e girato nelle Alpi, Montagne Rocciose e Himalaya.     

IL LAGO ALPINO NELL’IMMAGINARIO  POPOLARE  DEL TERRITORIO CHE LO OSPITA. ALCUNI RISCONTRI  IN ALTA VAL SUSA

Diego Priolo

La rasserenante immagine del lago alpino che in genere ci si attende da questo soggetto e che venne   probabilmente coniata in epoca tardo romantica, all’interno della scoperta “turistica” del mondo delle Alpi da parte delle classi sociali più abbienti, poche volte si ritrova nelle tradizioni e nell’immaginario delle comunità che vivono in questo ambiente. Analizzando il loro folklore (folk:gente/popolo, lore: essenza) e quando queste testimonianze  si sono mantenute genuine e non rinforzate in un intento di rivalutazione della cultura popolare , non è raro infatti cogliere una simile  sensazione, per certi versi inaspettata, e questo nonostante l’invaso lacustre  possa essere stato antropizzato da tempo. Il lago alpino può apparire  così come un “non luogo” ( adattamento  dal termine concetto redatto da Marc Augè), una dimensione fisica  presente ma non accolta , posta  sottoguardia ma ugualmente sfuggente nel silenzio e nella sua apparente tranquillità. Un disagio derivato sostanzialmente dalla mancanza di conoscenze e di strumenti per poterlo affrontare e conoscere. D’altra parte, sebbene esso potesse anche non essere necessariamente coinvolto in una simile relazione, era comunque una realtà oggettiva  presente sul territorio e con cui si poteva improvvisamente entrare in contatto, come nel caso di esondazioni distruttive e con vittime, o di annegamenti di animali domestici. Bisognava dunque trovare una mediazione e questo ruolo-funzione venne cercato nell’immaginario, la cui risposta, in genere redatta /elaborata sotto forma di racconto, è risultata spesso la soluzione più soddisfacente per controllare questa difficoltà di accettazione. Il contenuto fantastico in termini di protagonisti, azioni, contesti, avvenimenti, ha infatti permesso il superamento dei limiti cognitivo-strumentali a monte e suggerito soluzioni rassicuranti. In ogni caso, questa peculiarità, per quanto immaginativa possa essere, ad un’analisi attenta del contenuto, emerge chiaramente  connessa in qualche modo al  vissuto (fatti,culture impostesi in loco e culture entrate  in contatto) della comunità e/o del territorio che l’ha utilizzata. Nella lettura popolare del territorio valsusino, sono stati naturalmente  coinvolti anche alcuni  suoi laghi. Limitandoci all’alta valle, possiamo  annoverare: il lago della Vecchia, il lago del Moncensisio, il lago Colombier, i laghi delle Monache, il lago di Saltbertrand, il lago di Bardonecchia ed  il lago Nero. Si tratta di una campionatura  scelta per  il suo variegato e specifico contenuto-risposta, ma chissà quanti altri invasi valligiani furono nel passato  al centro di una simile lettura,  dimenticata poi o con l’abbandono della zona o con la sparizione di questo singolare palcoscenico acqueo.

SULLE TRACCE DI POLLICINO NEL VENTRE DELLE VACCHE. DAL DELFINATO ALLE VALLI OCCITANE DEL PIEMONTE E DAL MICROCOSMO DEL PASTORELLO AL MACROCOSMO DEGLI ASTRI

Matteo Rivoira – Christian Abry

Nel corso delle sue ricerche sull’immaginario Alpino, Charles Joisten ebbe modo di repertoriare nelle Hautes-Alpes numerose attestazioni del tipo narrativo conosciuto come Thumbling o Pouçot, da noi Pollicino (ATU700). La presenza, tra le versioni raccolte da Joisten, di una fornita da un’informatrice di Abries in Queyras, ma originaria di Maniglia in Val Germanasca, ha fornito lo spunto per iniziare una verifica della diffusione del racconto nelle vallate alpine di palata occitana. È così emersa la diffusione abbastanza estesa di un racconto popolare per bambini (Val Susa, Val Chisone, Val Germanasca, Val Varaita e Valle Stura) al quale Perrault diede fama – in una versione più complessa – con il nome di Pollicino. Il nostro Jan Pëulhét, alias Chi Pouset, alias Trafoulhét, alias …. a pieno titolo può essere dunque considerato un personaggio dell’immaginario anche delle nostre vallate alpine e, come nel caso di altri, seguendolo potremo percorrere le vie dell’Europa e dell’Asia e giungere sino alle stelle. Le vicende del nostro ometto, infatti, in alcune regioni si legano indissolubilmente con quelle che si sono proiettate sugli astri alla ricerca di un senso dell’universo. Lo studio del nostro racconto minimo, per un personaggio minimo nelle misure, ci permette di misurare l’estensione, questa invece assai grande, delle eco delle culture profonde che scavalcano senza rimorsi l’isolamento identitario tanto spesso perseguito di questi tempi istericamente protesi alla costruzione di barriere e scontri di civiltà.

DELLA FISICA E D’ALTRE VISIONI

Renato Sibille

Un percorso attraverso le presenze fantastiche nell’immaginario popolare dell’alta Valle di Susa: mostri, orchi, fate, folletti, animali fantastici e feroci che popolano il territorio da tempo immemorabile, già da prima della colonizzazione umana; storie medievali di santi e di pellegrini legate alla presenza del monastero della Novalesa o della Prevostura di Oulx; tesori favolosi nascosti nelle caverne o sotto le rocce, protetti dal diavolo e lasciati da soldataglie di passaggio tra Cinquecento e Settecento; novelle streghe e maghi malvagi che nell’Ottocento riprendono i libri del sapere richiamando i tempi dell’Inquisizione; ma, soprattutto, i più recenti “giochi di fisica”, con i quali alcuni preti burloni spaventano i propri parrocchiani.